Antonio Saliola

Hanno scritto di lui

…Antonio Saliola è uno che ha fatto i voti con la pittura e i suoi grandi quadri sono lo spaccato e il minuzioso racconto della sua vita interiore, non visto secondo il dolore o l’angoscia del mondo, ma secondo il piacere: un modo di raccontare la pittura propria dei pittori dell’Ottocento per i quali il ritratto delle foglie, dei muri e degli oggetti che a quei muri stanno appesi o appoggiati è la storia intima della vita, la proiezione esatta di una memoria e di una professione…

                                         Giorgio Soavi, 1985

 

Antonio Saliola entra nel giardino nel 1982, vi entra quasi sempre nel pomeriggio, quando la luce è più morbida, accumulata e calda, quando l’ora è propizia ai misteri, vi incontra, come gli accade ovunque, le tracce, i resti, le ombre, di passaggi, di avvenimenti, di piccoli miracoli; vi scorge lontane apparizioni; vi trova oggetti dimenticati, panchine in attesa di un arrivo, giocattoli senza bambini.

…Ma oggi chi può dipingere giardini? Quale folle artista, incurante dell’anacronismo, lontano dai commerci, dalle volgarità, dalle tragedie del tempo può farlo?

Saliola dipinge giardini.

                                         Roberto Tassi, 1990

 

Nella pittura di Saliola si riconoscono tutti e tutti sognano…rievocano senza imbarazzi e senza timidezze un loro mondo reale o immaginario.

Sprazzi di verità e disegno dell’arcadia infantile rivivono in queste tele smaglianti di colori e di atmosfere recuperate dall’inconscio, forse mai vissute, ma sempre evocate qualche minuto prima che il sonno si trasformi in oblio, in dimenticanza.

                                         Lucia Fornari Schianchi, 1997

 

Non si stacca mai da noi il paese dell’anima che sta annidato dentro la memoria assieme ai giorni dell’infanzia di quando, cioè, credevamo di essere immortali. Da tempo mi sto chiedendo “riuscirà l’infanzia di oggi a confortare e riempire di fantasia gli artisti di domani e la gente in generale?

                                         Tonino Guerra, 1997

 

In uno dei tanti cortili della nostra infanzia, e certamente tu lo hai dipinto, nella penombra della sera  c’è ancora un bambino.

Continua da solo, con ostinazione, quel gioco cominciato con gli altri.

Non molla. Tutti se ne sono andati e lui continua da solo, sfidando con quel suo gioco il grande buio della notte che viene.

Forse c’è Pascoli, forse c’è Dylan Thomas in questa sfida.

Ma soprattutto, per quel poco che ne so, c’è Antonio Saliola di Via del Garofalo numero 6.

                                         Pupi Avati, 1997

 

…Dunque percepiamo che Saliola è, in linea di massima, un uomo felice. Non è sempre facile convincere la gente che le qualità dell’arte derivanti dalla felicità sono valide. Ogni attore che reciti il ruolo di Amleto può contare su una sorta di attestato di stima, anche se incapace di dosare i toni tragici, mentre i Cary Grant di questo mondo, per quanto abili siano nel sedurre il pubblico e nell’esercitare un fascino irresistibile, vengono criticati anche quando sono fonte di piacere…

Non dovrebbe essere necessario insistere sul fatto che la felicità è un’affermazione altrettanto seria dell’infelicità, ma molto più piacevole da gestire. Soprattutto quando non è riflessa in maniera passiva, ma ricreata artisticamente, come avviene nel caso di Saliola. Malgrado tutta la sua aria di semplicità, Saliola è un’artista pienamente consapevole e capace. Le sue visioni sono costruite solidamente sulla base di una tecnica assoluta.

                                         John Russell Taylor, 1998

 

Saliola costruisce giorno per giorno, seguendo le leggi della natura e le variazioni del tempo, i modelli naturali della propria pittura; con pazienza, con sogni, con una certezza di visione e una perseveranza senza limiti fa nascere dalla terra, dall’acqua, dall’aria una pittura luminosa, profumata, cangiante, sottilmente magica; modifica lo spazio, crea la possibilità dei riflessi; studia gli accostamenti dei colori; prevede e armonizza in anticipo il loro variare secondo il variare delle stagioni dell’anno e dell’anima; modella prima la forma naturale, poi la forma artistica conseguente; immagina l’opera prima nel mondo fisico, poi nel mondo poetico; si avvia in tal modo, per quanto è concesso all’uomo, verso le capacità demiurgiche di modificare la natura e l’arte; e di confonderle tanto, farle sviluppare così unite, come è solo possibile realizzando un’unica idea, un unico concetto, un’unica visione per entrambe. Così nella mente, nella passione e nel gesto di Saliola, che immagina, che sceglie le sementi, che si esalta d’amore per una corolla di fiori e per un intreccio di pennellate, che contempla e che dipinge, si realizza la più stretta congiunzione tra natura e pittura.

                                         Gian Maria Erbesato, 2002

 

…Insomma, chi ha la confidenza con i racconti dei mondi paralleli, vede che Saliola pone in valore le stesse rispondenze; che il quadro nasce proprio dall’idea di formulare un mondo alternativo. Ma allora il giardino vero? Il giardino empatico di cui parla De Précy che produce effetti nello spirito? Ecco, il giardino è il mondo alternativo, il luogo della discrezione e del nascondimento, la figura che dispone allo spirito una soglia, un varco sulla via d’uscita, una porta per deambulare ai confini noti di un territorio campestre dove inoltrarsi è possibile alla scoperta del mondo vero. Molti sono i nomi del “mondo intermedio”: dal continente analogo a quello che il pittore qui battezza, il mondo del Quasi. In esso l’essenziale è l’effimero, la modestia è la regalità. Possiamo rileggere quelle pagine appassionate di René Daumal sulla ricerca del “monte analogo”:

Non parlerò della montagna ma per mezzo della montagna. Con questa montagna come linguaggio, parlerò di un’altra montagna che è la via che unisce la terra al cielo, e ne parlerò non per rassegnarmi  ma per esortarmi.

                                               Luca Cesari, 2015

 

…Nel non-tempo di Saliola, di sapore tardo-ottocentesco, il mondo delle favole classiche convive con il gusto nabis di interni alto-borghesi in cui la biblioteca recita un ruolo da protagonista, con tutto il carico di mondi immaginari che ciascun testo sottintende, e giardini domestici che sussurrano i segreti più reconditi della natura, se solo si avesse l’orecchio fanciullo per ascoltarli, preludendo idealmente al “Quasi Orto” che Saliola ha allestito nel suo eremo di Petrella Guidi, vera e propria opera aperta che allenta qualsiasi cesura fra l’uomo e la terra, il creato e il creabile.

Una proposta, mi sentirei di suggerirgli, in sviluppo ulteriore della sua imagerie.

Diceva Borges di pensare al paradiso come a una biblioteca: paradiso viene da paràdeisos (giardino), in allusione alle meraviglie dell’Eden biblico, associato all’iconografia cristiana, la mariana in special modo, all’hortus conclusus, il giardino ben curato che viene precluso a occhi indiscreti.

La biblioteca, il giardino, l’orto concluso: a unificarli in una sola visione, ne potrebbe scaturire un’immagine nuova, capace di esprimere perfino qualcosa di più di quanto non ambirebbero a fare le singole simbologie in questione, come se l’Eden non fosse il massimo dell’immaginabile, ma lasciasse ancora spazio a una sua possibile maggiorazione, il “superparadiso”. Chi avrebbe credenziali maggiori di Antonio Saliola per tentare l’impresa?

                                               Vittorio Sgarbi, 2015

 

Si può dipingere il sogno? Si può dipingere la natura? Forse le due cose non sono così incompatibili e si combinano: è la natura sognata in un’immagine. Ma che tipo di immagine sarebbe e quale significato avrebbe allora la natura così ritratta, tra realtà e immaterialità? Forse è un volo sul filo delle rappresentazioni mentali e del cuore: un’apparizione che necessita dei nostri sospiri, una visione sognata.

…E’ il caso dell’opera di Antonio Saliola che dispiega, nella distanza di uno sguardo incantato, allegorie e sogni naturali lungo il corso di una tradizione illustre e al tempo stesso ingenua, perché vi troviamo segni di paesaggi fiamminghi e delizie naives. Troviamo che cenni di un gusto primitivo si mescolano a candori fauvisti e a lontane sublimità del grande stile, tanto più grande essso quanto più si ispira al quotidiano, all’ordinario, a qualcosa che sembra un giardino, a qualcosa che sembra un orto, a un “quasi orto” come riproduzione dell’intera natura, come rifugio per un riscatto dell’effimero: i fiori, le foglie, gli arbusti, gli alberi. Contaminazioni enigmatiche del mondo minore e del mondo superiore inseguono nuove mitologie di un’aura di post-impressionismo onirico. Nell’insolito di uno stupore solare o notturno, come dipinge Saliola, cogliamo una sensibilità acquietante e non inquietante.

…La corporeità della natura nell’opera di Saliola s’intride di un’anima fantastica e onirica che la connota intimamente. Nella mente del pittore, forse l’ultimo pittore di giardini, troviamo la consapevolezza d’aver unito in un’unica visione la dignità delle bellezze naturali e la grazia del sogno.

                                              Raffaele Milani, 2018

 

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